lunedì 30 marzo 2015

Scheda critica "Storia del paesaggio agrario italiano" Emilio Sereni

 1. Sintesi delle tesi sostenute dall’autore, degli argomenti trattati e della struttura generale del volume
In questo libro l’autore vuole presentare in forma sommaria le ricerche svolte in lunghi anni, su  come il territorio rurale è cambiato nei secoli e quali ragioni hanno portato a tale cambiamento.
L’autore inizia dalla colonizzazione greca descrivendone le regolari forme geometriche che delineavano il paesaggio.  Ogni divisione (lotto) veniva assegnato ad un colone.

Dalle forme regolari si passa alla parte dedicata al giardino mediterraneo dove troviamo appezzamenti irregolari con coltivazioni di alberi e arbusti (preferiti alla maggese), chiusi per paura dei furti e del gregge, successivamente ad un’altra parte dedicata all’ accenno alla vite etrusca (diversa da quella greca).

Con l’ascesa di Roma si ha un primo esempio di piano paesaggistico; il suolo agrario (limitatio) viene suddiviso attraverso una griglia con due linee fondamentali (cardo e decumanus). Ogni lotto aveva delle funzioni precise. Il metodo fu esportato in molte altre zone del mondo grazie ai successi ottenuti. Questo periodo viene segnato anche dalle numerose opere civili (strade e acquedotti) che diventarono un elemento costitutivo del paesaggio. Proprio Goethe nel suo Viaggio in Italia parla di “una seconda Natura, che opera a fini civili”. Le tecniche utilizzate portano a tralasciare i vecchi metodi per utilizzare il sistema a maggese e piantagioni arboree. Un altro problema dei romani era che non vi era una relazione tra agricoltura e allevamento.

Con il passaggio delle grandi piantagioni si assiste ad un altro grande cambiamento: si vengono a formare piccoli appezzamenti nel quale l’aristocrazia romana sviluppa questa nuova economia con l’utilizzo dei numerosi schiavi ottenuti attraverso le guerre. Troviamo la villa rustica (abitazione  e lavoro schiavi), la villa fructuria (depositi prodotti) e la villa urbana (abitazione per il piacere padronale). E’ evidente il passaggio che porta alla visione del territorio agrario come puramente lavorativo ad una visione estetica. Con il crollo dell’impero, il paesaggio agrario entra in una situazione di degrado: è in questo preciso momento che le attività silvio-pastorali prendono spazio (sistema a campi ad erba).

Dai prima anni del V sec. d.C., con le invasioni barbariche e per tutto l’Alto Medioevo IX, ci fu la disgregazione del paesaggio agrario: saccheggi, devastazioni, decadimento degli antichi centri di vita urbana, terrore e violenza. I segni sono i ruderi e “le città morte”; le poche forme di orti chiusi ed essenze arboree le troviamo in zone protette da mura mentre nelle campagne più lontane  prevale la caccia.
La crisi delle città da spazio alle campagne nelle quali si ricomincia a ricostruire una società ormai senza più speranze. Nascono così le prime ville, che poi si trasformarono in casali fortificati ed infine castelli. Un elemento del paesaggio che caratterizza  l’Alto Medioevo è la “Selva selvaggia”, vaste aree di boschi e foreste davano riparo a orsi, cinghiali, lupi e banditi.

I centri sociali ed economici diventano i borghi inerpicati; nelle zone limitrofe campi aperti di cereali inferiori (miglio, panico, sorgo). 

L’invasione araba diffonde le colture di riso, cotone, canna da zucchero, pistacchio, melanzane, spinaci e agrumi.

Il castello nel paesaggio agrario è il simbolo dell’età feudale. Dal XI sec. avviene una lenta ripresa delle piantagioni e inizia l’età delle bonifiche e dei grandi dissodamenti tramite iniziativa dei feudatari, delle chiese vescovili e infine dei Comuni.

Tra l’XI e il XII sec. il potere passa nelle mani delle grandi abazie cistercensi che trasformano il territorio. 

L’età comunale è segnata dalla ripresa della attività agricola soprattutto grazie agli interventi di bonifica: le pianure vengono coltivate con alberi e arbusti (in particolare la vite)  , i boschi vengono tagliati per utilizzare il legno come materiale da costruzione e come combustibile. Anche in questi secoli il paesaggio pastorale prevale su quello agrario (frumento e maggese).

Nel Rinascimento c’è la chiusura dei campi a pigola e la sistemazione dei terreni in collina con la tecnica della sistemazione a porche. Il problema del letame è causato da poco spazio dedicato al pascolo. Grande attenzione al problema dell’irrigazione dei campi. Nasce il bel giardino all’italiana   (aiuole ben squadrate, filari allineati, terrazze, fasto e mole). Proprio in questo periodo non solo alle maggiori città toscane, ma anche attorno a Genova, si sistemano le difficili terre montane con terrazzamenti e muretti. Nel tardo Rinascimento in Italia centro-settentrionale ci sono le piantagioni e campi a pigola mentre in Italia Meridionale invece le starze di viti, ulivi e agrumi e il “giardino mediterraneo”.

A partire dal XV sec. inizia un periodo di grandi scoperte geografiche che portarono alla diffusione di nuovi prodotti, in particolare del mais. Si passa così ad una rotazione continua dove il mais assume la funzione di pianta di rinnovo.

Ne segue un periodo buio e di regressione, molti dei terreni bonificati tornano allo stato di palude. Tra il ‘500 e ‘700 si diffonde la cultura del riso in settentrione, nei terreni acquitrinosi. Avviene un’estensione del paesaggio pastorale.

Gli anni della Controriforma sono caratterizzati da una profonda crisi del territorio agricolo e delle attività pastorali. Si ritornerà al paesaggio classico e romantico per poi arrivare a quello industriale a rotazione continua. Troveremo nel paesaggio meridionale il “giardino mediterraneo”, in quello centrale l’alberatura tosco-umbro-marchigiana e in quello settentrionale la piantata padana.

L’età dell’Assolutismo Illuminato e delle riforme è caratterizzato dalla villa settecentesca (Veneto, Piemonte, Lombardia, Liguria, Sicilia e Toscana), che diventa un vero e proprio investimento produttivo. Avviene una evoluzione funzionale: da luogo di puro piacere ad azienda signorile a sviluppo capitalistico. 
Nella seconda metà del settecento si assiste alla crisi della mezzadria a favore del ceto dei grandi e medi affittuari (saranno sempre maggiormente interessati al guadagno, pretendendo sempre di più dai mezzadri che lavoravano i loro campi). In questi anni un forte cambiamento modifica la situazione agraria, la chiusura dei campi diviene necessaria: diritto di chiusura e difesa delle aziende signorili a discapito dei grandi proprietari terrieri e della popolazione più povera. Al Nord prevale la chiusura mentre nel Meridione ci fu una tenace resistenza.

Negli ultimi decenni del ‘700 viene trattato il problema del disboscamento, dissodamento e degrado del paesaggio montano, che raggiunge livelli altissimi. In Toscana si sviluppa il paesaggio delle colmate: opere di bonifica idraulica. Le colline vengono sistemate a ciglioni, a terrazze e a  tagliapoggio.

Nell’età risorgimentale l’autore descrive tre sviluppi differenti che si vengono a formare in Italia. Al nord il paesaggio padano dei prati irrigui, delle culture a rotazione continua e della piantata a bassa densità (forte cambiamento politico e sociale caratterizzato dalla crisi della mezzadria e dall’ascesa delle grandi imprese capitalistiche); al centro le colmate a monte e la sistemazione a “prode” ed a “spina” (anche in questi caso vi è una rivoluzione politica simile a quella del nord Italia ma di minor rilievo); al Sud situazione diversa: massa di popolazione rurale costituita da contadini che, in anno in anno, riducono a precaria cultura una miriade di spezzoni, sulle immense distese dei latifondi feudali, comunali ed ecclesiastici. Poi ripartizione in massa dei demani feudali.

L’Unità Italia è un momento decisivo in quanto avviene l’unione sotto un unico potere dei piccoli Stati presenti in Italia. Vengono costruite nuove linee ferroviarie e abbattute le barriere doganali: si crea un mercato nazionale. Nuovi sviluppi dei traffici commerciali creano specializzazioni locali esportate in tutta Italia (esempio la specializzazione del mezzogiorno delle culture d’ulivo e di agrumi). 
Nella Pianura padana si sviluppa la piantata asciutta e la piantata irrigua assume i classici caratteri capitalistici  aziendali (risaie). 
Nelle aree tosco-umbro-marchigiana la spinta capitalistica è inferiore e troviamo l’alberata tradizionale accompagnata da sistemi agrari a rotazione continua e campi chiusi: si raggiunge un carattere estensivo piuttosto che intensivo. Nel Mezzogiorno la ripartizione di massa dei demani ex-feudali si conclude intorno al 1860. Oltre 2 milioni e mezzo di ettari vanno ad ingrossare il patrimonio terriero della nuova borghesia. Comunque continua lo scontro tra vecchia nobiltà e nuova borghesia a discapito della massa popolare.

Nell’ultima parte del libro l’autore riassume i pensieri espressi in precedenza. Il paesaggio è fortemente condizionato dalle lotte dei lavoratori e dei piccoli produttori agricoli. Dai numerosi documenti scritti e disegnati, risulta chiara l’evoluzione che ha portato ad un sistema agrario più complesso. Dietro ad un semplice cambiamento si possono trovare in realtà ragioni molto più elaborate.


2. Considerazioni sulla definizione di paesaggio, se riportata in maniera esplicita, e/o sulle idee circa la sua natura

La definizione di paesaggio non è riportata in maniera esplicita ma si scopre  attraverso la lettura del libro. Il paesaggio agrario deriva dall’interazione tra l’uomo e la natura. L’uomo condiziona l’ambiente in cui vive e lavora a seconda delle sue necessità.
 Le necessità però non sono sempre le stesse, cambiano in base al territorio in cui si lavora, in base alla situazione politica ed economica, in base al ceto sociale. 
Proprio per queste ragioni si susseguono momenti in cui le campagne hanno un ruolo primario a periodi in cui sono in uno stato di forte degrado e abbandono. 
Questi cambiamenti ci sono descritti grazie a numerose riproduzioni di opere d’arte delle varie epoche (mosaici, tele, affreschi, dipinti e disegni di grandi artisti come Giotto, Giovanni Bellini, Domenico Veneziano e Renato Guttuso) e frammenti di opere letterarie. Questa multidisciplinarietà rende l’opera completa.

Non vi è una definizione di paesaggio poiché quest’ultimo assume nel tempo svariati significati:  semplice giardino estetico, strumento  di sopravvivenza, mezzo di guadagno, area inutilizzata e abbandonata a se stessa, strumento di sfruttamento capitalistico. Per questo libro il paesaggio è la storia del paesaggio.


3. Gli elementi attraverso cui l’autore descrive o rappresenta il paesaggio

L’autore descrive l’evoluzione del paesaggio andando a scovare le ragioni che hanno guidato tale cambiamento.
 Non si limita a descrivere l’evoluzione agricola e pastorale da un punto di vista puramente tecnico, bensì ne descrive il contesto storico e le ragioni economiche, sociali, politiche e culturali che hanno spinto in questa direzione invece che in un’altra.

 Nel libro il paesaggio è la storia, è l’evoluzione che ha portato al paesaggio contemporaneo, è l’insieme dei fenomeni che lo hanno mutato. Come ho già sottolineato in precedenza, la scelta dell’autore di avere una visione multidisciplinare dell’argomento, fornisce una visione più completa.

Partire con l’analisi storico-sociale, per poi passare ad informazioni più tecniche (per esempio la tipologia di coltivazione, le tecniche per la stabilizzazione dei terreni più impervi..) e condire il tutto con immagini storiche, citazioni letterarie e dati sondaggi storici, ci fa riflettere su quanti siano in realtà i fattori che fanno parte del paesaggio agricolo. Pensare al campo coltivato come semplice pezzo di terra su cui si coltivano prodotti è un errore.
 L’approccio giusto è quello di domandarsi il perché delle cose e andare oltre analizzando le relazioni con il contesto in cui si trova.

4. Come si trasforma il paesaggio e quali fattori ne determinano le trasformazioni

Il libro inizia con la descrizione dell’evoluzione del territorio agrario italiano dalla colonizzazione greca del Sud Italia (510 a.C.) fino ad oggi. Si percepisce che le comunità hanno trasformato l’ambiente con continuità per soddisfare le loro esigenze, le quali non sono rimaste le stesse nel tempo, ma sono cambiate. Il contadino dell’antica Roma aveva delle necessità e delle conoscenze ben diverse dal contadino del Medioevo o Rinascimentale. 
Ogni generazione ha apportato al territorio delle profonde modifiche, seguendo però delle regole ben precise, a volte simili a quelle precedenti, a volte molto diverse e rivoluzionarie. 

L’approccio che riscontriamo in molti degli esempi letti nel libro è quello che noi oggi possiamo chiamare progetto implicito. Il paesaggio ha una natura collettiva (non è stato progettato a tavolino in un determinato momento da una persona ed è rimasto tale nel tempo, bensì è il prodotto di una pluralità di persone e di azioni in un lasso di tempo medio lungo), evolutiva (deriva da anni di prove, di successi e di fallimenti; arrivare ad una soluzione giusta e duratura necessita di tempo), interscalare (opera su diverse scale, nel libro troviamo numerosi esempi differenti: dai piccoli orti chiusi e protetti del Medioevo, alle grandi piantagioni dell’800) e sostenibile (si studia la situazione in cui ci si trova e si effettuano scelta basate sulle considerazioni fatte; c’è un maggior rispetto per il territorio con cui si interagisce).

Tutti questi fattori portano al delinearsi di infinite tipologie di paesaggio agrario, spesso racchiuse in macro gruppi, ma che in realtà posseggono una loro identità ben precisa.

5. Suggerimenti e suggestione per un piano paesaggistico

La lettura di questo libro sottolinea l’importanza di leggere il territorio in cui si andrà a lavorare. Il suggerimento più grande lo da l’approccio che il libro ha, cioè quello di andare oltre la visione semplicistica per una lettura più consapevole e matura del paesaggio. 
Domandarsi perché in un’area troviamo un bosco mentre in un’altra terrazzamenti destinati alla vite non va sottovalutato. Ripercorrere le principali tappe storiche dei cambiamenti del paesaggio agrario italiano aiuta a darsi delle risposte giuste.

Nel libro sono descritti alcuni metodi utilizzati in passato per gestire il territorio agrario.
Il primo che incontriamo è quello della colonia di Turi, sotto il dominio della Grecia. Nella Tavola di Eraclea riscontriamo la volontà di gestire il territorio attraverso la lottizzazione e l’assegnazione di funzioni ad ogni lotto (forma geometrica e affidato a coloni).
Un altro esempio è il piano paesaggistico della conquista romana, il quale per rispondere alla necessità di un nuovo sistema agrario diffonde è impone una forma universale (limitatio). Ne risulta una regolare quadrettatura del suolo agrario.
Interessante vedere come già nel XII secolo persone come Pietro de’ Crescenzi, si affrontavano il problema della difesa idrica delle sistemazioni collinari. Nella sua opera parla della pratica volta a difendere i terreni più declivi dall’erosione delle acque a mezzo di sostegni e di ripari.
Nel XII secolo troviamo un piano di colonizzazione nel paesaggio di Villafranca Veronese. Ad ogni colono fu assegnato un manso (33 “campi” veronesi, di cui 1 per la casa e 32 “pro laborare”).
Questi esempi ci fanno riflettere sull’importanza del rapporto tra aree residenziali e aree agricole. 
Ritrovare l’equilibrio sul nostro territorio sarà fondamentale per la riuscita di un buon piano paesaggistico. Il ritorno all’ agricoltura non deve essere considerato come un passo indietro, bensì come un passo in avanti, verso un migliore rapporto tra l’uomo e la natura.


6. Brevi note biografiche sull’autore
Emilio Sereni (Roma, 1907-1977)
Nato in una famiglia ebrea di intellettuali antifascisti, si è diplomato al Liceo Terenzio Mamiani di Roma. Fratello del sionista-socialista, cofondatore del kibbutz Givat Brenner Enzo Sereni; nel 1926 si iscrisse al Partito Comunista Italiano ed un anno dopo si laureò in agronomia a Portici, iniziando poco dopo un'opera di proselitismo nella provincia di Napoli.
Nel 1930 si reca a Parigi ed entra in contatto con Palmiro Togliatti. Rientrato in Italia nel settembre dello stesso anno fu arrestato e condannato dal Tribunale Speciale a vent'anni, poi ridotti a 15 per il cumulo delle pene.
Amnistiato nel 1935, espatria clandestinamente a Parigi con la moglie Xenia Silberberg, conosciuta con il nome di Marina, e la piccola figlia Lea; qui è responsabile del lavoro culturale ed è redattore capo di Stato Operaio e La voce degli italiani. Nuovamente scoperto, nel 1943 viene condannato a 18 anni per "associazione sovversiva" ma un anno dopo riesce a fuggire e si stabilisce a Milano, dove il partito gli assegna l'incarico di dirigere l'ufficio di agitazione e propaganda.
Dopo aver svolto un ruolo importante nella Resistenza come rappresentante, insieme a Luigi Longo, del Partito Comunista nel CLNAI di Milano e come componente del comitato insurrezionale costituito nell'aprile 1945, nel 1946 entra nel comitato centrale del PCI (vi resterà fino al 1975) e fu due volte ministro sotto Alcide De Gasperi: la prima dell'assistenza postbellica e la seconda dei lavori pubblici. Eletto senatore nel 1948 e confermato nel 1953, divenne direttore di Critica marxista e nel 1956, durante i fatti d'Ungheria, fu uno dei pochi a schierarsi apertamente con l'Unione Sovietica.
Tra le sue opere ebbero particolare successo Il capitalismo nelle campagne, Il Mezzogiorno all'opposizione, La questione agraria nella rinascita nazionale italiana e La rivoluzione italiana, ma i suoi scritti sono innumerevoli: la sua bibliografia contiene 1071 scritti ed i primi risalgono al 1930. Donò tutto questo materiale all'Istituto "Alcide Cervi" di Gattatico (RE) - di cui fu un fondatore - dove è a disposizione degli studiosi.
Straordinario poliglotta, conosceva il tedesco, l'inglese, il francese, il russo, il greco, il latino, l'ebraico, alcune lingue cuneiformi (come l'accadico, il sumero, l'ittita) e il giapponese.






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